Le prospettive della neuromodulazione non invasiva: la TMS

Diego Centonze e Mario Stampanoni Bassi
Diego Centonze e Mario Stampanoni Bassi

Chiunque abbia avuto a che fare con l’elettronica, anche solo per hobby, sa che un circuito può essere influenzato da forze elettriche o magnetiche. E il sistema nervoso non fa eccezione, come scoprì Luigi Galvani nel diciottesimo secolo, dimostrando l’eccitabilità elettrica di nervi e muscoli. Su queste basi nasce il concetto di neuromodulazione, di cui la stimolazione magnetica transcranica (TMS) rappresenta una delle applicazioni più promettenti in medicina.

“La TMS – dice Mario Stampanoni Bassi, dell’Unità Operativa di Neurologia Neuromed – utilizza un campo magnetico, di cui possiamo variare intensità e durata degli impulsi, per stimolare dall’esterno determinate aree cerebrali in modo assolutamente non invasivo”.

È una tecnologia che esiste da molto tempo, ma che ora sta vivendo una vera e propria “riscoperta” sia per la ricerca scientifica che per applicazioni mediche. “Inviare stimoli magnetici alla corteccia cerebrale – continua Stampanoni Bassi – ci permette di studiare la reazione di determinate aree. Ad esempio quella motoria, da dove partono gli impulsi per i nostri movimenti: diamo lo stimolo e misuriamo il tempo di conduzione del segnale nervoso dal cervello al midollo spinale fino ai muscoli. Oppure possiamo usare altri impulsi per “disattivare” temporaneamente una zona del cervello, in modo da saperne di più sulla funzione che svolge”.

Ricerche di questo tipo hanno una limitazione: si possono studiare solo aree la cui stimolazione determini effetti misurabili: un impulso alla corteccia motoria genererà un movimento improvviso, ad esempio. Se l’impulso è indirizzato all’area visiva, invece, la persona vedrà lampi di luce. Altre aree cerebrali, però, non danno risposte così evidenti. In questo caso entra in gioco un’altra tecnologia non certo recente: l’elettroencefalogramma. “Associando l’impulso della TMS alla registrazione EEG – dice ancora il neurologo – possiamo vedere, in tempi dell’ordine dei millisecondi, come diverse parti del cervello rispondono alla stimolazione di una determinata zona. In pratica impariamo le interconnessioni tra aree cerebrali”.

In tutti questi casi si parla di impulsi singoli, il cui scopo è principalmente di ricerca. Ma la stimolazione magnetica transcranica può inviare anche una serie di impulsi ripetuti per lunghi periodi di tempo (rTMS). E questo apre prospettive terapeutiche, come ad esempio la possibilità di promuovere la cosiddetta plasticità sinaptica, il meccanismo attraverso il quale il cervello apprende e recupera. Potenziare questa capacità nei neuroni può dare un contributo importante al processo di  neuroriabilitazione, come nel caso di una persona che sia stata colpita da un ictus cerebrale e che debba recuperare funzioni cerebrali perdute.

C’è un altro aspetto della stimolazione magnetica transcranica che si sta guadagnando una notorietà crescente: la possibilità che un trattamento ripetuto possa essere usato per la terapia della depressione o delle dipendenze. “È ancora presto per valutare se questi approcci potranno risultare realmente utili – dice Diego Centonze, responsabile dell’Unità Operativa di Neurologia – è vero che negli Stati Uniti la stimolazione magnetica transcranica è già approvata e rimborsata per il trattamento della depressione, proprio come fosse un farmaco. Ma i suoi effetti devono ancora essere indagati a fondo, e sono limitati soprattutto nel tempo. Ci vorranno ulteriori studi prima di decidere se sia un valido supporto terapeutico”.

Alcune linee di ricerca indicano che la neurostimolazione magnetica potrebbe avere un ruolo persino nel trattamento delle demenze. Ma siamo veramente agli inizi, e molto c’è ancora da studiare. Nel frattempo alcune industrie si sono lanciate in quello che viene visto come un ottimo business: la stimolazione elettrica transcranica (tDCS). Nella tDCS non viene usato un campo magnetico, ma una piccola corrente elettrica applicata attraverso elettrodi posti sul cranio. È molto più semplice rispetto alla TMS, che invece richiede personale specializzato. Addirittura potrebbe essere usata a casa, e negli USA alcune compagnie già vendono da anni questi apparecchi, sostenendo che possono addirittura migliorare riflessi, memoria e concentrazione. Però le conoscenze sugli effetti, sia quelli benefici che, soprattutto, quelli potenzialmente nocivi, sono ancora molto limitate. In altre parole, è ancora troppo presto per sognare di diventare dei geni “trafficando” da dilettanti con il nostro cervello.

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