UNA COLONNA VERTEBRALE DA PROTEGGERE

Gualtiero Innocenzi
il professor Gualtiero Innocenzi

“Queste patologie le conosciamo tutti – dice il professor Gualtiero Innocenzi, Responsabile dell’Unità Neurochirurgia I del Neuromed – perché chiunque ha avuto in casa almeno un familiare con un problema di questo tipo. La patologia degenerativa della colonna è un insieme di malattie, definite genericamente di natura artrosica, che vanno da una semplice discopatia a una protrusione discale, fino a patologie più invalidanti, come la spondilolistesi, la mielopatia cervicale o alcune forme di stenosi, cioè di restringimento del canale lombare”.
Quanto sono diffuse, anche alla luce del crescente invecchiamento della popolazione?
“Sono molto comuni. Hanno una alta incidenza anche in età giovanile (studi anatomici hanno riportato una incidenza tra il 10 e il 20% intorno ai 20 anni di età) ma soprattutto rappresentano una sorta di amplificazione, una esagerazione dei normali processi legati all’invecchiamento. Ecco perché, in una popolazione che tende a diventare sempre più anziana, le patologie della colonna sono in costante aumento. Fornire dei dati statistici precisi non è facile per ragioni metodologiche: ad esempio, se si considera il semplice mal di schiena, probabilmente il 100% della popolazione sopra i 50 anni ne ha sofferto almeno una volta. Se si considerano i segni di patologia degenerativa rilevabili con la risonanza magnetica, si ha una incidenza intorno al 70% nella popolazione sotto i 50 anni e del 90% nella popolazione di età superiore. La più colpita è la colonna lombare (75%), seguita da quella cervicale (50%) e dal tratto dorsale (35%). Negli USA si calcola che il costo annuale per il trattamento di queste patologie oscilli tra 30 e i 50 miliardi di dollari. L’incidenza dei casi sintomatici è intorno a 4 casi per 1000 abitanti all’anno. È interessante osservare come la frequenza di queste malattie cambi notevolmente nelle diverse aree del mondo (vedi immagine, ndr). Ma c’è anche un altro aspetto interessante: oggi abbiamo un numero sempre crescente di persone al di sopra dei 70 – 80 anni ancora pienamente attive, magari per ragioni legate a un ruolo professionale che continuano ad avere, oppure per il ruolo che hanno in famiglia. Non gli puoi dire ‘mettiti in poltrona, metti il busto e tira a campare’. Sono persone che vogliono continuare a muoversi, e di questo la medicina deve tenere conto”.
Quali sono i campanelli di allarme da tenere in considerazione?
“Il sintomo più comune è il dolore, soprattutto quando si tratta di un dolore continuo, che dura giorni o settimane, magari fortemente legato all’attività fisica e che tende ad interessare non solo la schiena, ma anche gli arti superiori e soprattutto inferiori. Infine, un sintomo serio è la perdita o la diminuzione della forza. È una cosa che viene spesso sottovalutata anche dai medici: il paziente è apparentemente in buona salute, ma racconta che negli ultimi tempi non riesce più a camminare come prima. In questi casi possiamo trovarci di fronte a una paraparesi dovuta a una stenosi del canale spinale lombare. Si tratta di una condizione che richiede un intervento chirurgico di allargamento del canale. Naturalmente tutti i sintomi vanno interpretati dal medico, in particolare dal neurochirurgo, anche alla luce degli esami strumentali, tra i quali il principale rimane la risonanza magnetica della colonna”.
A proposito di stenosi lombare, la patologia più trattata chirurgicamente, lei ha avviato uno studio scientifico per capire quanto può influire lo stile di vita.
“Sì, è una ricerca che stiamo conducendo insieme al Dipartimento di Epidemiologia. Stiamo cominciando a capire che diversi fattori, ad esempio l’alimentazione, il fumo, il tipo di lavoro, influiscono non solo sull’insorgenza ma anche sulla gravità della patologia stenotica lombare, addirittura influenzando il decorso postoperatorio delle persone su cui interveniamo chirurgicamente. Insomma, l’idea che si va delineando è che, come esistono fattori di rischio per le malattie cardiovascolari, probabilmente ce ne sono anche per le malattie degenerative della colonna. E allora vediamo come l’intervento chirurgico vada inserito in un percorso che comprende anche altri specialisti: il fisiatra, il reumatologo, il neurologo, il fisioterapista. Ma che deve vedere anche l’impegno del paziente sul suo stile di vita”.
E l’attività fisica?
“Il movimento non è mai deleterio. Ai miei pazienti, con una battuta, spiego sempre che la poltrona su cui amano stare e come lo zucchero per i diabetici: una cosa pericolosissima. Noi da un punto di vista evolutivo siamo veri bipedi, a differenza dei nostri ‘cugini’ , le scimmie antropomorfe che sono clinogradi, con una colonna assai diversa dalla nostra. E la nostra colonna è fatta per camminare. Ricordiamoci che proprio la sedentarietà favorisce l’insorgenza di queste malattie. E anche nel decorso post operatorio c’è una netta differenza: chi riprende a camminare, a muoversi, andrà meglio di chi rimane sedentario. Ovviamente deve essere un movimento compatibile con l’età, la struttura fisica della persona, la presenza di eventuali altre patologie”.
Parlando degli interventi chirurgici, quanto conta la tecnologia che viene messa in campo?
“Moltissimo, ad una condizione: che sia sempre utilizzata con buon senso, cioè in base alla valutazione clinica e all’esperienza del medico. Noi usiamo da molti anni un sistema di navigazione spinale molto avanzato, e nei prossimi mesi avremo a disposizione un sistema ancora più evoluto. Abbiamo poi una risonanza 3 tesla, stiamo per acquisire un microscopio operatorio di ultimo modello, possiamo effettuare ricostruzioni tridimensionali, abbiamo l’endoscopio. Insomma, tanta tecnologia, e di ottimo livello. Ma non significa che si debba operare chiunque e subito. Il paziente va inquadrato, perché i risultati migliori dipendono sempre da una corretta indicazione chirurgica”.

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