EMICRANIA. COME COMBATTERLA

emicrania 2Le cause alla base dell’emicrania non sono ancora ben conosciute. Le teorie più moderne indicano come questa patologia sia una complessa sindrome che coinvolge sia strutture nervose che vascolari, e che rendono il cervello del paziente che soffre di emicrania in qualche modo “diverso”.

Nelle persone non colpite da questo disturbo, avviene un fenomeno ben noto: il cervello si adatta agli stimoli che vengono dall’ambiente (ad esempio luci, suoni, odori, sensazioni tattili). All’arrivo di uno stimolo nuovo il sistema nervoso reagisce attivandosi. Ma poi, con la ripetizione dello stesso stimolo, la reazione diminuisce, come se si abituasse. Nel paziente emicranico questa abitudine non si sviluppa, anzi, può succedere che l’attivazione dei neuroni aumenti con la ripetizione dello stimolo.

Questo significa un maggiore consumo di energia da parte delle cellule nervose. Però si è visto anche che nelle persone colpite la riserva energetica a disposizione del cervello è inferiore al normale. Quindi, come suggerito da molti scienziati, è come avere una Ferrari con il serbatoio di una 500. Ad un certo punto le riserve si esauriscono, ed il cervello è come se si fermasse per ristabilirsi. In questa fase si innesca l’attivazione di una complessa struttura anatomica, il “sistema trigemino-vascolare”, responsabile di tutti gli eventi biochimici e vascolari che accompagnano la crisi di emicrania.

Ogni paziente ha uno o più stimoli precisi che possono, in alcune condizioni, far precipitare la situazione determinando l’insorgenza della crisi emicranica. Sono i “trigger”, un cibo particolare, sovraccarichi sensoriali come condizioni di luminosità intensa o forte rumorosità o confusione, condizioni climatiche o ambientali, variazioni nelle proprie abitudini di vita. Evitarli, quando questo è possibile, fa parte della strategia di prevenzione degli attacchi.

Non è solo un problema del singolo individuo: a parte i costi delle cure e delle visite, che gravano sul Sistema sanitario nazionale, l’emicrania pesa molto anche sui familiari, fa perdere ore di lavoro, diventa insomma un carico per l’intera società.

“Nell’emicrania – spiega la responsabile del Centro nel Neuromed, che ha recentemente ospitato il VI° Congresso della Sezione Regionale Lazio-Molise della Società Italiana per lo Studio delle Cefalee (SISC) – il dolore è solo uno degli aspetti di quella che va considerata una vera sindrome. E’ un quadro complesso, nel quale può anche accadere che altri fattori (ad esempio la nausea, spesso presente, o il fastidio causato dalla luce o dai rumori) diventino più importanti del dolore nel limitare la vita quotidiana del paziente. Sappiamo che questa patologia ha una forte predisposizione familiare, cosa che ci fa puntare verso una origine genetica. Ma esiste anche una grande variabilità da persona a persona, senza dimenticare che le donne ne soffrono tre volte di più rispetto agli uomini. Inoltre, un’altra caratteristica importante, esistono i cosiddetti “trigger”, fattori scatenanti di un attacco di emicrania. Nel 30% dei casi può trattarsi di alcuni cibi, oppure qualche variazione nelle abitudini quotidiane, come svegliarsi più presto o più tardi del solito. Un ruolo importante giocano poi le fluttuazioni ormonali che si verificano durante il ciclo mestruale. Ma di trigger ce ne sono tanti, diversi da persona a persona, e spesso il paziente non ne è consapevole. Ecco perché gli consegniamo un vero diario da compilare, dove annoterà la comparsa di episodi di emicrania e gli eventuali fattori che possano averli provocati. In questo modo sapremo quali sono i trigger di quella persona, e potremo aiutarlo a ridurre gli attacchi evitando certi comportamenti”.

Oltre alla prevenzione legata alle abitudini di vita, nella terapia dell’emicrania entrano naturalmente in gioco anche i farmaci: “Dobbiamo considerare due fasi. Abbiamo il trattamento preventivo, nel quale vengono usati farmaci anche molto diversi tra loro che, usati comunemente per altre patologie, si sono rivelati utili anche nel ridurre gli episodi di emicrania. E c’è la fase di gestione dell’attacco. I comuni analgesici, se funzionano, vanno bene. Altrimenti si punta su farmaci più specifici”.

E quante sono le storie di successo? “Possiamo dire che otteniamo miglioramenti significativi nel 70-80% dei casi. Le varie strategie che mettiamo in atto puntano a gestire la patologia, a limitarla, restituendo qualità della vita al paziente. Ma ripeto, è un percorso che dura tutta una vita. E che deve vedere una collaborazione strettissima tra il paziente, il suo medico e gli specialisti”.

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