Non c’è forse nulla che sia allo stesso tempo utile e temuto come il dolore. Ci insegna a evitare il fuoco, gli oggetti appuntiti, le sostanze pericolose e tante altre cose che potrebbero causare danni al nostro corpo.
“A molti sembrerà strano, ma la prima cosa che possiamo dire è che il dolore rappresenta un grande maestro, forse il più importante, soprattutto nel corso dei primi anni della nostra vita. Consente l’adattamento all’ambiente in cui viviamo, e senza di esso non potremmo renderci conto dell’esistenza dei pericoli”. A parlare è il professor Bruno Marcello Fusco, Responsabile Scientifico del Centro di Medicina del Dolore di Neuromed e docente di Patologia Generale nell’Università di Salerno.
Esiste insomma un dolore positivo, una vera necessità fisiologica. Il bambino che impara a stare alla larga dal fuoco, la sofferenza della caviglia slogata che ci obbliga a stare a riposo, il mal di pancia improvviso e violento che può indicare la presenza di qualche alterazione quale ad esempio una appendicite.
“Ma questo fattore positivo – continua il professor Fusco – si trasforma in negativo nel momento in cui diventa inutile, quando il dolore diventa qualcosa di fine a sé stesso. È quello il dolore patologico, non più collegato all’adattamento all’ambiente. Qualcosa che non serve più come segnale d’allarme”.
Quanti tipi di dolore esistono?
“Come dicevamo, c’è il dolore acuto, legato a una causa specifica e con una precisa funzione di difesa o di allarme. Al di là di questo abbiamo il dolore persistente, che continua anche oltre la causa che l’ha determinato, e poi il dolore cronico vero e proprio, in cui la persona soffre in modo continuo, un dolore certamente non più necessario. Quando è possibile identificarne la causa, si può curare intervenendo su di essa. Se ad esempio siamo in presenza di un’ernia del disco che produce una lombosciatalgia, togliendo l’ernia debelliamo il dolore. Ma esistono situazioni in cui la causa non può essere eliminata chirurgicamente. Pensiamo alla nevralgia post-erpetica (il fuoco di Sant’Antonio, nella cultura popolare, ndr) o alla nevralgia del trigemino. Sono forme di dolore neuropatico, in cui c’è qualcosa che affligge direttamente i nervi che conducono la sensazione dolorosa. Non c’è causa contro la quale possiamo lottare: nasce direttamente dal sistema nervoso”.
Quando un paziente comincia ad avere una sintomatologia dolorosa persistente inizierà probabilmente a curarsi con i comuni analgesici, magari quelli da banco. Ma per alcuni arriverà ilmomento in cui rivolgersi a un centro specializzato come questo. Quali sono gli approcci che vengono messi in campo?
“L’approccio inizia sempre con una attenta anamnesi per avere un quadro completo della storia clinica del paziente e del suo stile di vita. Si passa quindi a esaminare il tipo di dolore di cui soffre e le eventuali terapie che ha già seguito. Solo allora si procederà a disegnare un percorso terapeutico, che andrà per gradi e che cercheremo di mantenere il meno invasivo possibile. Nel caso di dolori articolari, come ginocchio, spalla, anca, possono essere molto utili le classiche infiltrazioni di anestetici locali e cortisone. Ancora infiltrazioni, in questo caso paravertebrali, vengono usate per bloccare il dolore sciatico o a livello cervicale”.
Un passo successivo è il ricorso agli oppioidi o alla cannabis terapeutica. Tra l’altro lei ha partecipato alla commissione che ha contribuito alla nuova legge sugli oppioidi.
“Quella legge è stata molto importante per un gran numero di pazienti. Consente ai medici di usare gli oppioidi con più facilità rispetto al passato. Avendo sempre presente tutte le cautele necessarie, ma adeguandosi alla legislazione di altri Stati. Per quanto riguarda la cannabis terapeutica, funziona nel dolore cronico. Noi la stiamo impiegando, anche se con tutte le difficoltà legali e burocratiche ancora esistenti”.
Quali altre strategie potete scegliere?
“Noi usiamo sovente la neurostimolazione ed in particolare la metodica della radiofrequenza pulsata trattando i pazienti con onde radio ad alta frequenza che bloccano l’attività dei nervi in cui il dolore ha origine. Questa procedura non danneggia le fibre nervose ma ne modula l’attività. Introdurre questa tecnica qui al Neuromed è stata una nostra grande soddisfazione. In tempi recentissimi l’abbiamo estesa nella cura delle cefalee croniche refrattarie ed in particolare nella cefalea a grappolo”
Forse pochi sanno dell’uso terapeutico della capsaicina, la sostanza contenuta nel peperoncino piccante. Lei ha pubblicato lavori scientifici al riguardo.
“La capsaicina ha un’azione molto particolare: blocca specificamente le fibre nervose che trasmettono gli impulsi dolorosi. Somministrata localmente, in modo ripetuto, spesso con pomate o emulsioni, può essere molto utile nel dolore neuropatico, come quello post-erpetico. Ma la abbiamo sperimentata con successo anche nella cefalea a grappolo, applicandola sulla mucosa nasale”.
Interventi terapeutici a parte, il nostro corpo è capace di controllare il dolore?
“Esistono vie nervose che bloccano il dolore, se vengono attivate. Ognuno di noi percepisce il dolore in modo diverso, anche a seconda delle situazioni in cui ci troviamo. La corteccia cerebrale, la parte finale dove il dolore diventa coscienza, è in grado di modulare la percezione dolorifica, ed esistono situazioni in cui la corteccia manda impulsi che “chiudono i cancelli” agli stimoli dolorosi. Ad esempio durante una fortissima emozione, come quella di un soldato in battaglia. Nelle culture orientali, a parte l’agopuntura che è una metodica terapeutica standardizzata per alcune forme dolorose, troviamo, per fare un esempio, il fenomeno dei fachiri. In generale la meditazione. Proprio le tecniche di meditazione si sono rivelate capaci di attivare vie nervose di controllo del dolore. Ma ci vogliono anni e anni, pratiche di meditazione estremamente lunghe. Insomma, non è applicabile nel contesto della vita normale. Non possiamo consigliare ai pazienti di apprendere e dedicarsi alla meditazione Zen”.