La sindrome di Rett colpisce quasi esclusivamente il sesso femminile, ed è l’unica forma di autismo in cui l’origine è stata tracciata con precisione: si tratta di un’alterazione a carico di un gene presente sul cromosoma X, chiamato MECP2, che codifica la proteina omonima. Le bambine affette (una su 8.500) hanno un normale sviluppo fino all’età di 6-18 mesi. Ma dopo questo periodo cominciano ad apparire gravi problemi di apprendimento e coordinamento, e le capacità già acquisite vengono via via perse, fino a un gravissimo disturbo del neurosviluppo e alla completa perdita di interazioni sociali.
Nella sindrome di Rett avvengono particolari alterazioni a carico dei neuroni i quali presentano minori ramificazioni e lunghezza dei dendriti (i rami destinati a ricevere gli impulsi dagli altri neuroni). Ciò che i ricercatori Neuromed hanno fatto nel loro lavoro, pubblicato sulla rivista BMC Bioinformatics, è di studiare precocemente, già a livello embrionale, le alterazioni presenti nella corteccia cerebrale di topi geneticamente privi di MECP2, animali che rappresentano un modello di studio della patologia. “Analizzando al microscopio colture neuronali embrionali – dice il dottor Maurizio D’Esposito, Responsabile scientifico dell’IGB-CNR/NEUROMED – siamo riusciti a vedere che difetti nella struttura dei neuroni, come la ridotta ramificazione dei dendriti, sono già presenti nei topi privi di MECP2 già prima della nascita. Difetti sottili, ma che fino ad ora erano stati documentati solo nelle fasi postnatali di crescita”.
C’è anche da considerare che MECP2 è un regolatore della trascrizione, cioè è capace di modulare l’espressione di altri geni. Per questo motivo, nell’ambito dello stesso lavoro, i ricercatori hanno verificato se l’assenza di MECP2 avesse conseguenze sulla trascrizione di altri geni per individuare quelli eventualmente coinvolti proprio nel “dare forma” ai neuroni. “Di fatto – continua D’Esposito – abbiamo trovato anche alterazioni nell’espressione genica, causate dalla mancanza di MECP2, già a livello embrionale. Per di più, alcuni geni erano già stati individuati nei topi sintomatici, sostenendo l’ipotesi che alcune alterazioni della patologia possano insorgere prima della nascita ed essere poi mantenute nel corso del neurosviluppo”.
“Questo lavoro – commenta infine il responsabile scientifico – ci permette di spingere il nostro sguardo alle primissime fasi della sindrome di Rett, evidenziando come le alterazioni compaiano molto precocemente, prima della nascita e prima che gli effetti siano evidenziati dalla sintomatologia. Gli studi successivi, volti a individuare potenziali trattamenti, dovranno tenere conto della precocità con cui i neuroni vengono danneggiati dai complessi meccanismi in gioco”.