La scoperta di una malattia grave è il momento in cui intere esistenze cambiano. A ogni visita si studia il volto dei medici per individuare segnali di speranza o di scoraggiamento, si cerca di capire quello che c’è scritto nei referti, si parla con amici e parenti. Nel dolore, nella preoccupazione e nello scrutare un futuro diventato improvvisamente cupo, c’è però un intero mondo con il quale condividere la propria preoccupazione e le proprie sofferenze. I medici conoscono bene le procedure, le persone vicine hanno un’idea abbastanza chiara di cosa si tratti.
E se questo mondo non ci fosse?
E’ quello che succede ai pazienti colpiti da una malattia rara. La doppia sfortuna la chiamano: non solo scoprirsi una patologia seria, ma sapere che la gente attorno a noi non ne ha mai sentito parlare, il più delle volte neanche il proprio medico.
Neuromed dal 2001 fa parte della rete nazionale delle malattie rare. Il fine ultimo è quello di offrire un punto di riferimento qualificato ed efficiente per i malati e le loro famiglie non solo del Molise, ma anche di molte regioni del centro-sud. Oggi Neuromed, con il suo Centro di Neurogenetica e Malattie Rare guidato dal professor Stefano Ruggieri, è impegnato su tutti i fronti di questo delicato argomento, sia dal punto di vista della ricerca che da quello clinico, senza mai tralasciare una forte azione di sensibilizzazione e di informazione dei cittadini.
Per essere ufficialmente definita “rara” una patologia non deve superare i 5 casi su 10.000 persone.
Un numero che solo apparentemente sembra poco significativo. Nel mondo sono state infatti individuate tra le 7.000 e le 8.000 malattie rare, l’80% delle quali di origine genetica. Ecco che i conti cambiano drammaticamente: in Europa si stima che le persone colpite siano tra i 20 e i 30 milioni. Persone impegnate lungo un sentiero di incertezze, vicoli ciechi, paure. Si calcola che per una malattia rara ci vogliano da 5 a 15 anni prima che arrivi la diagnosi certa. Anni di visite, esami, risposte parziali. Un cammino tra i più difficili.
“Il percorso di una persona colpita da una malattia rara è forse uno dei più complessi in medicina, e ogni paziente è una storia individuale. – afferma il professor Ruggieri – Per questo il nostro Centro è impegnato nel coprire tutte le tappe di quel percorso attraverso un approccio multidisciplinare che vede ricerca di base e cura del paziente strettamente interconnesse nell’affrontare le patologie rare che colpiscono il sistema nervoso centrale con compromissione della funzione motoria, cognitiva e comportamentale. Ciò che i pazienti e le loro famiglie trovano qui è una sinergia di specializzazioni molto diverse: neurologi, psicologi, genetisti, sempre con il supporto di personale infermieristico specificamente dedicato e la collaborazione di laboratori particolarmente specializzati, come il Centro di genetica molecolare guidato da Stefano Gambardella”.
A volte, però, può sembrare una lotta contro i mulini a vento. “Non è così. – continua Ruggieri – Quando parliamo di aiuto alle persone colpite da malattie rare dobbiamo tenere presenti alcuni punti fondamentali: è vero che per molte di esse non esiste ancora una vera terapia, ma possiamo comunque intervenire per migliorare la qualità di vita dei pazienti e delle famiglie”.
In questo quadro, la figura dello psicologo è cruciale, ma non solo nel supporto al paziente, come è logico pensare. “Il supporto è certamente fondamentale – dice Francesca Elifani, psicologa del Centro – perché una malattia rara quasi sempre ha un forte impatto su tutti gli aspetti della vita di una persona, e inoltre quando colpisce più componenti in uno stesso nucleo familiare comporta un aumento della sofferenza psicologica rendendo necessario l’estensione del supporto a tutta la famiglia. Ma bisogna considerare anche l’importanza degli aspetti neuropsicologici e psicodiagnostici che alle volte si rivelano essenziali quando convergono con la sintomatologia neurologica per la definizione di una diagnosi. Lo psicologo è parte integrante di questo processo, fornendo un importante contributo anche alla definizione dei protocolli terapeutici specifici”.
“Quelli legati alle patologie rare non sono concetti facili da trasmettere alla popolazione – dice Alba Di Pardo, genetista del Centro – Le persone affette nel complesso da una delle tante patologie definite rare sono milioni, è vero, e questo ne fa un problema molto serio. Ma gli individui colpiti da una specifica malattia sono veramente pochi, a volte solo qualche centinaio in tutto il mondo. Questo aspetto comporta da una parte una oggettiva difficoltà a studiare la malattia per mancanza di un numero sufficiente di casi clinici, e dall’altra riduce fortemente l’interesse delle industrie farmaceutiche ad investire nella ricerca di cure. L’eventuale cura o farmaco avrebbe un mercato molto limitato, tale da non giustificare gli investimenti, tanto meno recuperarli. E così le malattie rare sono state per anni vere cenerentole della ricerca e della medicina”.
Passano quasi tutte sotto i radar, le patologie rare. Sigle complesse, a volte semplicemente il nome dello scopritore. Ogni tanto qualcuna finisce sotto i riflettori, più che altro ad opera del mondo dello sport o dello spettacolo. Come la sindrome di Hutchinson-Gilford o progeria, che causa l’invecchiamento precoce e che porta i bambini ad essere vecchi nell’aspetto e negli acciacchi. Proprio uno di questi ragazzi, Sam Berns, morto nel 2014, la fece conoscere al mondo con il documentario “La vita secondo Sam”. O la sclerosi laterale amiotrofica (SLA), che colpì il giocatore di baseball Lou Gehrig e che è attualmente una delle pochissime malattie al mondo chiamate con il nome di un paziente e non dello scopritore.
“Aumentare la conoscenza delle malattie rare è una priorità a livello mondiale – continua Di Pardo – non solo nella ricerca scientifica, ma anche nella consapevolezza della gente. Dobbiamo far sì che questo problema diventi qualcosa di ben noto a tutti i livelli. Solo in questo modo si potrà dare un impulso nuovo alla ricerca e alla cura in questo campo”.
“I fronti scientifici aperti – spiega Vittorio Maglione, Responsabile del Laboratorio di Ricerca del Centro di Neurogenetica e Malattie Rare – sono essenzialmente due: da un lato capire meglio la genetica di queste malattie, cosa che potrebbe portare, purtroppo non credo in tempi brevi, a interventi sul DNA capaci di “riparare” i problemi che sono alla base dell’80% di esse. Più a breve scadenza, abbiamo gli interventi farmacologici, con lo studio di molecole che, anche lasciando intatta la mutazione genetica, permettano di ridurre i danni o rallentare l’avanzamento delle patologie”.