Per la maggior parte delle persone è un disturbo occasionale, il classico cerchio alla testa che viene quando si è sotto stress per un esame o si è esagerato la sera prima con il cibo o l’alcol. Una pillola, una bustina sciolta nell’acqua, oppure semplicemente si aspetta un po’ e tutto torna a posto. Non è così per quei dieci milioni di Italiani (2 miliardi e mezzo in tutto il mondo, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità) che ne soffrono in modo più frequente, fino ad avere in alcuni casi un peggioramento significativo della propria qualità di vita.
Il Centro per lo Studio e la Cura delle Cefalee dell’IRCCS Neuromed di Pozzilli, riconosciuto come centro di terzo livello con Headache Clinic dalla Società Italiana per lo Studio delle Cefalee (SISC), affronta quotidianamente i problemi legati a tali patologie. Ascolta persone che da tempo convivono con il mal di testa, che spesso hanno tentato a lungo di gestire la situazione con i farmaci, fino a non averne più giovamento. E ascoltare è un termine molto importante, perché il mal di testa ha una sua storia, diversa da persona a persona. Proprio questa storia è fondamentale per affrontarlo correttamente.
“Inquadrare a dovere un mal di testa – dice la dottoressa Anna Ambrosini, responsabile del Centro cefalee – è un lavoro lungo, che richiede un grande dialogo. Nel corso di una Prima Visita per cefalea, ad esempio, dobbiamo porre ai nostri pazienti più di 300 domande. Il fatto è che non esiste per il momento alcun esame specifico capace di dirci se la persona davanti a noi ha un tipo di mal di testa oppure un altro. Non possiamo fare un test e leggere un risultato. Il suo racconto, la sua esperienza personale, sono fondamentali per operare una diagnosi corretta e proporre un eventuale percorso terapeutico personalizzato”.
C’è un momento nella vita di chi soffre di mal di testa. Avviene quando diventa un vero problema, quando non è più qualcosa che capita una volta ogni tanto (è da ricordare che in Italia il 52% delle donne ed il 42.8% degli uomini ha avuto almeno un episodio di cefalea nello scorso anno), oppure quando si comincia a prendere antidolorifici un po’ troppo spesso. “Quella è una fase molto importante. – continua Ambrosini, – Il paziente può trovarsi ad assumere farmaci sempre più spesso, a lasciare che la cefalea condizioni la sua vita e le sue scelte. Oppure può cominciare a cercare compulsivamente le possibili cause del suo mal di testa. Esistono, è vero, cefalee attribuibili ad alcune patologie organiche o meno, sia triviali che molto serie: sono le cefalee definite secondarie, che possono essere trattate curando la malattia che ne è alla base, quando questo è possibile. Ma rappresentano solo il 10% dei mal di testa, e sono sempre riconoscibili dal Medico esperto di cefalee che esegua una anamnesi accurata ed un buon esame clinico. La stragrande maggioranza dei casi di mal di testa è invece rappresentata da cefalee primarie, in cui la cefalea stessa è la malattia ed il dolore ed i sintomi che lo accompagnano sono soltanto un’espressione della malattia. Arriva un momento in cui, dopo aver fatto i necessari esami per escludere la presenza di altre malattie, il mal di testa cronico deve essere trattato per quello che è: una patologia precisa a sé stante, che ha bisogno di un percorso specialistico adeguato”.
Forse è proprio a causa della grande diffusione di questo problema, quasi a vederlo come qualcosa di familiare, che in tutto il mondo manca una “cultura” del mal di testa, come sottolinea la responsabile del Centro: “le cefalee rappresentano il disordine neurologico più diffuso, eppure non c’è una adeguata consapevolezza da parte di chi ne soffre. A volte neanche da parte degli stessi medici. Può succedere che vengano prese come un fastidio con cui convivere”.
E spesso le cose possono peggiorare. Col tempo i normali antidolorifici, presi a dosi troppo alte o con troppa frequenza, diventano inefficaci, e la situazione si cronicizza.
La risposta è nel percorso specialistico, “che seguirà il paziente per tutta la vita. – commenta Ambrosini – La cefalea primaria non guarisce. E’ un po’ come l’ipertensione arteriosa essenziale o il diabete mellito: si tratta, si tiene sotto controllo, si può curare, ma sappiamo (e lo deve sapere il paziente) che non si risolverà mai definitivamente”.