L’analogia con una bomba a tempo può sembrare scontata, ma è probabilmente la migliore: l’aneurisma dell’aorta è una patologia che lavora in silenzio, e che ogni anno causa circa seimila morti nel nostro Paese.
Essenzialmente un aneurisma è la dilatazione di un’arteria. L’aorta è la principale arteria del nostro organismo. Parte dal cuore, attraversa il torace (aorta ascendente-arco e toracica) e si dirige in basso diventando aorta addominale, che rifornisce di sangue i visceri del corpo e gli arti inferiori. Una dilatazione si può verificare lungo tutto il suo percorso, ma nell’80% dei casi avviene nel tratto addominale. A volte la fine di questa storia è drammatica: l’aneurisma dilatandosi come un palloncino può causare la rottura delle pareti arteriose e quindi una gravissima emorragia che nella maggior parte dei casi provoca la morte.
“E’ una patologia piuttosto diffusa ma non diagnosticata – spiega il dottor Francesco Pompeo, Responsabile dell’Unità Operativa di Chirurgia Vascolare ed Endovascolare del Neuromed – Circa 27.000 nuovi casi vengono diagnosticati ogni anno in Italia. Sappiamo che è tre volte più comune negli uomini rispetto alle donne e che il rischio di sviluppare un aneurisma dell’aorta addominale è del 5-10 per cento negli uomini fra i 65 e i 79 anni. Sono più colpiti i fumatori, diabetici, ipertesi e le persone che hanno parenti già affetti da questa malattia e quelli con malattie vascolari che interessano il cuore ed il cervello”.
Il problema principale è che un aneurisma si sviluppa lentamente senza dare alcun disturbo al paziente. Aumenta di volume nel tempo fino al cedimento della parete e alla rottura, senza alcun preavviso. Una vera emergenza chirurgica questa, dalla quale non è facile salvarsi. “La mortalità – spiega Pompeo – è molto alta: 8 persone su 10 con rottura di aneurisma dell’aorta addominale muoiono, la maggior parte prima di arrivare in un ospedale”.
L’aneurisma può essere scoperto in tempo. A volte succede per caso: un paziente si sottopone a una ecografia all’addome, oppure una TAC, per motivi completamente diversi, e si scopre la dilatazione aortica. Altre volte la si va a cercare con programmi di screening specifici come succede con il Progetto Sanare del Neuromed.
“La pericolosità di un aneurisma dell’aorta addominale – continua Pompeo – è determinata dalle sue dimensioni. Al di sotto dei 5 centimetri di diametro non è necessario un intervento immediato: lo si tiene sotto controllo una volta l’anno o ogni sei mesi, dipende dalle sue dimensioni alla diagnosi, con una semplice ecografia. Al di sopra di questa misura, oppure se durante i controlli si riscontra una dilatazione che cresce più di un centimetro all’anno, si procede con l’intervento. Le opzioni chirurgiche sono due: quella classica, operando cioè in modo convenzionale per eliminare la parte dilatata dell’aorta e sostituirla con una protesi. L’altra scelta è quella dell’intervento endovascolare”.
Nella seconda opzione si raggiunge l’aorta dilatata partendo dalle arterie femorali in modo mininvasivo, senza l’apertura dell’addome. “In questo caso – spiega ancora il responsabile – la protesi viene portata sul posto attraverso una serie di cateteri che la contengono e rilasciata in maniera millimetrica all’interno del tratto dell’aorta interessata. L’introduzione di questa tecnica ha rappresentato una vera rivoluzione, perché permette di intervenire anche in pazienti per i quali, a causa magari di altre patologie anche gravi, un intervento classico sarebbe fortemente rischioso”.
Sono comunque entrambi interventi che salvano la vita . “Scegliere l’una o l’altra strada – conclude Pompeo – è però una decisione che deve essere presa dal chirurgo, in base a caratteristiche specifiche della malattia, con la completa informazione al paziente e rendendolo partecipe su tutto quello che sarà fatto per risolvere il suo problema” .