FORAME OVALE PERVIO. PERCHÉ È LEGATO AL CERVELLO?

nel corso di un esameIl Forame Ovale Pervio, o Pervietà del Forame Ovale (PFO), è un difetto anatomico cardiaco, spesso asintomatico, che risulta strettamente collegato ad alcune patologie neurologiche. Proprio questa profonda interconnessione tra sistema cardiovascolare e sistema nervoso lo rende un settore di grande rilevanza per il Neuromed, che a questa patologia rivolge gran parte del lavoro di un ambulatorio cardiologico nell’ambito del Dipartimento di Angio Cardio Neurologia e Medicina Traslazionale, diretto dal professor Giuseppe Lembo.

“Il forame ovale è una comunicazione tra l’atrio destro e l’atrio sinistro del cuore. – spiega la dottoressa Antonella Notte, cardiologa dell’I.R.C.C.S. Neuromed – Questa apertura è fisiologica, normale, durante la vita fetale. Nel feto il sangue non viene ossigenato dai polmoni, ma arriva già carico di ossigeno direttamente dalla madre, attraverso il cordone ombelicale. Quindi può andare direttamente dalla parte sinistra a quella destra del cuore. E infatti la chiusura del forame durante la vita fetale rappresenta una malformazione incompatibile con la vita”.

Ma dopo la nascita il forame non ha più motivo di esistere. La circolazione sanguigna subisce infatti una modifica importante: i polmoni entrano in funzione e, quindi, cuore destro e cuore sinistro devono essere isolati tra loro in modo da garantire che il sangue venga correttamente ossigenato e poi ridistribuito nel corpo. “Succede – continua Notte – che alla nascita cambiano le pressioni all’interno del cuore. La pressione nell’atrio sinistro aumenta favorendo l’accollamento dei due setti che delimitano il forame, fino alla chiusura completa per fusione. Tutto questo accade nell’arco del primo anno di vita del bambino”.

A volte però la chiusura non avviene correttamente, e la comunicazione rimane aperta anche nell’età adulta. È come se ci fosse una porta accostata, e non chiusa con la serratura. “Si instaura così una patologia – spiega ancora la dottoressa – con la quale spesso si convive serenamente, ma che talvolta può contribuire ad innescare danni al nostro corpo, soprattutto a livello neurologico”. Il pericolo, in termini semplici, nasce dal fatto che nel sistema venoso si possano formare dei trombi di vario tipo. Ad esempio, nei subacquei si creano piccole bolle di gas. Normalmente non è un problema, perché i trombi, proprio grazie alla separazione dei due circoli, non passano nel sistema arterioso, che li distribuirebbe nel corpo. Ma con il forame ovale pervio questo può accadere. I trombi possono finire nella circolazione sistemica e raggiungere punti particolarmente delicati, come il cervello. Questo fenomeno clinico viene chiamato embolia paradossa.

In condizioni di normali, proprio perché l’atrio sinistro ha una pressione superiore al destro, i setti rimangono chiusi, e si può condurre una vita normale. Ma, continuando con la similitudine, la porta non è chiusa a chiave, e c’è un momento in cui il pericolo diventa maggiore. “In condizione di espirazione forzata a glottide chiusa, cioè durante la cosiddetta manovra di Valsalva – continua Notte – si ha la separazione dei due setti e quindi il passaggio di sangue venoso dall’atrio destro all’atrio sinistro, di conseguenza sangue venoso può mescolarsi a sangue arterioso. Dobbiamo tenere presente che la manovra di Valsalva non è qualcosa di strano: avviene quotidianamente nel nostro corpo, con un colpo di tosse, con la defecazione, durante il parto. A fronte di ciò possiamo ben capire quanto questo difetto in alcune circostanze non debba essere sottovalutato”.

Il forame ovale pervio è associato a diverse patologie (vedi box). La diagnosi, che spesso arriva proprio dopo che sia stato riscontrato un problema neurologico o cardiovascolare, avviene con l’ausilio delle nuove tecnologie, in maniera mininvasiva e ad alta precisione. “Si sviluppa in due momenti – dice la cardiologa – con l’ausilio di un ecocardiogramma trans toracico e con un ecodoppler trans cranico, entrambi con l’infusione in vena di microbolle di soluzione salina. Queste microbolle ci consentono di visualizzare il passaggio del sangue attraverso il forame in condizioni di respirazione normale e dopo la manovra di Valsalva. L’entità della dimensione del forame viene misurata sulla base del numero di microbolle che superano il passaggio”.

È da questo momento, dopo la valutazione clinica del neurologo e a seguito dell’esame in ambulatorio, che si deciderà se il forame dovrà essere chiuso o no, e si esamineranno le opzioni con terapie farmacologiche. Il processo di diagnosi e valutazione, in questa fase, viene aiutato da un ulteriore esame, l’ecografia trans esofagea, che consente di precisare le caratteristiche anatomiche del forame ovale. L’intero processo è sempre multidisciplinare, affinché anche la terapia farmacologica, antiaggregante o anticoagulante, sia personalizzata e condivisa. A guidare il tutto sono le caratteristiche del paziente: se presenta una patologia neurologica oppure risulta essere asintomatico. “Le linee guida ci dicono – continua Notte – che il paziente asintomatico che presenta un passaggio moderato o severo, vale a dire con un’apertura del forame importante, viene trasferito in un laboratorio di emodinamica al fine di valutare la chiusura. Quando invece ci troviamo di fronte ad un caso di ischemia, ictus o TIA, la chiusura del forame è sempre indicata”.

L’intervento chiude quindi il cerchio di un lavoro in team. I pazienti vengono trattati con una procedura mininvasiva e tecnologicamente avanzata, eseguita generalmente da cardiologi interventisti in un laboratorio di emodinamica. “Si raggiunge il cuore attraverso la vena femorale, nella quale viene inserito un catetere alla cui estremità vi è un dispositivo a forma di ombrellino. Una volta portato attraverso il foro, i suoi dischi si aprono nell’atrio destro e in quello sinistro. Un sistema a farfalla che chiude il forame definitivamente”.

Anche in questo settore la ricerca avanza. Recenti studi hanno messo a punto un’altra metodica che consiste nella sutura del forame per via trasncatetere, senza l’applicazione dell’ombrellino. “Il vantaggio – spiega la dottoressa Notte – è nella terapia post intervento. Il paziente non ha bisogno in questo caso di farmaci anti aggreganti a lungo termine come invece viene prescritto obbligatoriamente dopo l’impianto del dispositivo a ombrellino”. Ancora di utilizzo limitato, questa metodica rappresenta il futuro dell’intervento di chiusura del forame ovale pervio.

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