Lo stress cronico può essere uno dei fattori di rischio della comparsa delle malattie cardiovascolari. A confermare ulteriormente il sospetto è uno studio americano, pubblicato sul giornale scientifico The Lancet, che ha aperto così la strada a nuovi potenziali trattamenti per questo tipo di patologie. Tra le principali cause ben accertate delle malattie cardiovascolari vi sono il fumo, l’ipertensione e il diabete. A questi possiamo oggi aggiungere anche lo stress che, secondo i ricercatori, influirebbe sull’attività di una regione del cervello che gestisce le emozioni, l’amigdala. Proprio l’aumento dell’attività dell’amigdala sarebbe alla base di un aumento del rischio di malattie cardiache e ictus.
Perché, quindi, l’attività dell’amigdala può essere associata ad un aumento del rischio di infarto? Ce lo spiega il professor Roberto Gradini, Dipartimento di Medicina Sperimentale dell’Università Sapienza di Roma e Laboratorio di Neurofarmacologia del Neuromed, nonché Direttore, sempre alla Sapienza, del Master in Psiconeurobiologia: “l’iperattività dell’amigdala innesca un messaggio di difesa nel nostro corpo che porta all’aumento delle difese immunitarie. Ciò significa che aumentano i processi infiammatori che al posto di difenderci creano intoppi circolatori che possono portare a problemi cardiovascolari”.
I ricercatori del Massachusetts General Hospital e dell’Icahn School of Medicine at Mount Sinai (Ismms) di New York, hanno scoperto che l’accresciuta attività dell’amigdala, l’area che elabora le emozioni come l’ansia, la paura o la rabbia, segnala al midollo osseo di produrre più globuli bianchi, che a loro volta agiscono sulle arterie infiammandole. In pratica il cervello manda al sistema immunitario ‘un segnale sbagliato’. Intervenire su questo aspetto “aumenta la possibilità che ridurre le stress possa produrre benefici che vanno oltre il miglior senso di benessere psicologico”, scrive l’autore, Ahmed Tawakol, del Massachusetts General Hospital e professore associato alla Harvard Medical School.
Nello studio americano, 293 pazienti sono stati sottoposti a una serie di esami per monitorare l’attività del cervello, del midollo osseo, della milza, nonché il livello di infiammazione a carico dei vasi sanguigni. I pazienti sono stati poi seguiti per una media di circa tre anni allo scopo di osservare possibili sviluppi di malattie cardiovascolari. Durante questo periodo 22 pazienti hanno riferito di aver avuto almeno una patologia cardiovascolare (infarto, angina, insufficienza cardiaca, ictus o malattia arteriosa periferica). Considerando chi si era ammalato rispetto agli altri, i ricercatori hanno potuto evidenziare come il rischio fosse più alto in quelli che avevano registrato una maggiore attività dell’amigdala.
“L’amigdala – spiega ancora il professor Gradini – regola l’aspetto flogistico (infiammazione) a livello periferico (arterie) e centrale (neuro infiammazione, responsabile delle patologie neurodegenerative, quali morbo di Alzheimer e morbo di Parkinson), ma è anche fondamentale nella elaborazione delle emozioni e dello stress. Le sue interazioni con altre parti del cervello, in particolare l’ipotalamo ed il sistema nervoso autonomo, spiegano le reazioni a stimoli emozionali molto intensi (paura, reazione di “attacco o fuga”), mediati dalla iperproduzione di sostanze quali adrenalina e noradrenalina, particolarmente attive a livello cardiaco e cerebrale. Tali reazioni comprendono aumento di frequenza cardiaca (tachicardia), frequenza respiratoria (tachipnea), pressione arteriosa, sudorazione e movimenti intestinali (peristalsi). Lo stress, soprattutto in condizioni di cronicità, determina una persistenza nel tempo delle alterazioni descritte che incrementano il rischio cardio e cerebrovascolare (infarto del miocardio, emorragia cerebrale)”.