“Un anello per dominarli tutti”. La frase è presa dal romanzo “Il Signore degli anelli” di Tolkien, di cui molti conosceranno le versioni cinematografiche. In questa storia fantastica, diciannove anelli sono stati dati alle tre razze che popolano la Terra di Mezzo: umani, elfi e nani. Ma ce n’è uno, il ventesimo, che governa tutti gli altri.
L’ipofisi, anche chiamata ghiandola pituitaria, fa più o meno la stessa cosa. La si potrebbe chiamare la Signora delle ghiandole. Il suo “trono” è alla base del cranio, proprio dietro la radice del naso. Non ci si deve fare ingannare dalle sue dimensioni (è grande come una piccola fava): l’ipofisi è la ghiandola principale del corpo. Produce diversi ormoni che guidano direttamente i processi biologici o stimolano altre ghiandole a produrre ulteriori ormoni. Ha il potere di trasformare un bambino in un adulto, influenzare il metabolismo, compreso quello osseo e idrosalino, il cuore, la pressione arteriosa, le funzioni sessuali e anche la psiche.
“E’ un vero direttore d’orchestra. – dice la dottoressa Marie-Lise Jaffrain-Rea, responsabile dell’Unità di Neuroendocrinologia del Neuromed e professore aggregato dell’Università de L’Aquila – Controlla la crescita, lo sviluppo puberale, il ciclo mestruale, la fertilità, l’allattamento, le funzioni della tiroide e delle ghiandole surrenali. Sotto il controllo dell’ipotalamo (una struttura del cervello, ndr), riceve segnali superiori, oltre che da vari organi del corpo, e reagisce trasmettendo ormoni che daranno le istruzioni appropriate per mantenere l’equilibrio del nostro organismo”.
Con queste premesse, si capisce subito come le patologie dell’ipofisi possano causare problemi importanti, particolari ma anche generali o “sistemici”. “La patologia ipofisaria più frequente – spiega Jaffrain-Rea – è rappresentata dagli adenomi ipofisari, tipicamente benigni ma non raramente invasivi e/o tendenti alla recidiva. Circa una persona su mille sviluppa manifestazioni cliniche legate a tale patologia. In questi casi, considerando che l’ipofisi è composta da diverse popolazioni cellulari, la proliferazione di un certo tipo di cellule porterà a una iperfuzione, con aumento dell’ormone che producono. Come avviene nei prolattinomi, che ne rappresentano il 55-60%. Si avrà un eccesso di prolattina, che porterà soprattutto a problemi nelle funzioni sessuali e riproduttive. Un’altra iperfunzione può coinvolgere l’ormone della crescita (GH). In questo caso, se colpisce gli adulti avremo acromegalia (ingrossamento delle ossa delle mani, dei piedi e del volto e aumento di volume di alcuni organi interni, ndr), mentre darà luogo a gigantismo (crescita esagerata, ndr) se avviene nelle fasi dello sviluppo. Molto più raramente, avremo la malattia di Cushing, in cui un adenoma ipofisario spesso molto piccolo, produce ACTH, stimolando le ghiandole surrenali a produrre quantità eccessive di cortisolo. Va notato che molti adenomi sono “non-funzionanti”, ossia non producono ormoni specifici. Le “masse” della regione ipofisaria, adenomi o tumori di altro tipo, possono essere rivelate da esami radiologici sistematici o dall’effetto che provocano (in particolare cefalea e turbe del visus)”.
Sono generalmente le masse più grandi a causare, al contrario, una minore funzionalità dell’ipofisi. “In quel caso – continua la responsabile dell’Unità – avremo insufficienza ipofisaria, che può interessare uno o più o ormoni. Ma possono esserci anche disfunzioni dell’ipofisi non legate a masse tumorali. Magari, nei bambini, su base genetica. Oppure a seguito di traumi cranici o di alcune malattie vascolari”.
La diagnosi di un problema all’ipofisi non è sempre facile, e ci si può arrivare dopo indagini molto accurate. “L’intervento di un centro come il nostro – dice ancora Jaffrain-Rea – è di secondo livello. Il paziente va dal suo medico di famiglia o da un altro specialista per un problema. Può essere una alterazione del ciclo nelle donne, una disfunzione erettile negli uomini, una cefalea, per fare alcuni esempi. A quel punto si avvia una procedura diagnostica, che inizia da una valutazione clinica e che potrà portare all’ipotesi di un problema ipofisario. È solo allora che scende in campo la neuroendocrinologia. In effetti il paziente arriva tipicamente da noi con un sospetto più o meno documentato di patologia ipotalamo-ipofisaria, che dovremo confermare e identificare”.
E si inizia il percorso terapeutico. “Che è estremamente personalizzato. Non esistono due pazienti uguali in questo campo. Abbiamo farmaci molto efficaci, che ci permettono anche di bilanciare una iperfunzione di un ormone e una ipofunzione di un altro. In casi specifici si deve procedere con la neurochirurgia per la rimozione di una massa. È un intervento che viene eseguito in endoscopia, passando attraverso il naso, senza dover aprire il cranio. Ma è anche un intervento molto delicato, che ha bisogno di neurochirurghi particolarmente esperti. Molto più raramente interviene la radioterapia. La gestione di un paziente ipofisario è spesso multidisciplinare ed è tipicamente il neuroendocrinologo a sua volta a fungere da “direttore d’orchestra” per il coordinamento delle cure e il follow-up a lungo termine del paziente”.