Nata come costola della cardiochirurgia, ha assunto negli anni una dignità propria. Passata per un’era in cui il by pass e l’innesto erano i capisaldi del trattamento chirurgico, si è trovata ad affrontare un radicale cambiamento. E le tecniche mininvasive, sia in campo arterioso che venoso, hanno profondamente modificato l’approccio del chirurgo vascolare rendendolo, allo stesso tempo, esperto di tecniche vecchie e nuove che spesso si intersecano.
“Chiaramente oggi il chirurgo vascolare ha un ruolo molto complesso: capire, valutare, e quindi scegliere, la migliore opportunità per lo specifico tipo di patologia che deve trattare. – a spiegarlo il dottor Francesco Pompeo, Primario dell’Unità Operativa di Chirurgia Vascolare ed Endovascolare dell’IRCCS Neuromed – Questo ci porta verso il concetto di medicina personalizzata, un termine che sentiamo sempre più spesso in tutte le discipline. E anche nell’ambito della chirurgia vascolare stiamo cercando di andare verso questa strada. L’incontro che abbiamo promosso non ha avuto, dunque, la pretesa di formare nuove figure professionali, ma di dare una forte spinta a comprendere la complessità del mondo della chirurgia vascolare moderna. Un chirurgo vascolare, con la sua equipe, si svincola dalla sua figura tradizionale per avvicinarsi a quella più moderna di un coordinatore, capace di gestire il problema vascolare da tutti i punti di vista, scegliendo la tecnica migliore e sincronizzando il lavoro di una equipe complessa, fatta da diversi specialisti e altre figure professionali. L’attività dell’Unità Operativa che mi onoro di dirigere – continua Pompeo – si è evoluta nel corso degli anni sia dal punto di vista dell’innovazione tecnologia, con tecniche sempre meno invasive di intervento, sia dal punto di vista scientifico. La ricerca rappresenta la spinta propulsiva della nostra attività, tanto da suscitare l’interesse internazionale di specialisti e dell’industria biomedica. Stiamo portando avanti ricerche nell’ambito della biologia molecolare. Iniziamo ad avere dei dati molto interessanti sulla medicina rigenerativa del piede diabetico, una nuova tecnica sviluppata insieme alla dottoressa Alba Di Pardo del Laboratorio di Neurogenetica e Malattie rare, che sta suscitando molto interesse da parte della società medico-scientifica. Abbiamo, inoltre, una collaborazione con il Laboratorio di Fisiopatologia Vascolare del professor Carmine Vecchione con cui portiamo avanti linee di ricerca relative alla comprensione dei meccanismi della funzione endoteliale e quindi volte al ripristino della disfunzione dell’endotelio vasale. L’endotelio, il rivestimento interno dei vasi sanguigni, è molto più di un semplice canale. Oggi è considerato un vero e proprio organo endocrino, e tra le principali funzioni svolte dalle sue cellule vi è la produzione di ossido nitrico, una piccola molecola gassosa che gioca un ruolo decisivo nella salute del sistema circolatorio. Una alterazione delle funzioni endoteliali, con la conseguente modifica nel metabolismo dell’ossido nitrico, è alla base di molte patologie cardiovascolari, sia a carico delle arterie (infarto, malattia arteriosa periferica, ictus) che delle vene (trombosi venosa profonda, insufficienza venosa). Gli esperimenti che stiamo portando avanti, dunque, potranno portarci a sviluppare un nuovo tipo di interventi terapeutici che mirino a ridurre la disfunzione endoteliale nei pazienti.”
Ma qual è l’apporto delle nuove tecnologie in questo settore. Lo abbiamo chiesto ad uno dei maggiori esperti, il professor Andrea Stella, Direttore della Chirurgia Vascolare dell’Università di Bologna.
“La tecnologia ha fondamentalmente trasformato un catetere in uno strumento chirurgico, – spiega Stella – sostituendolo al bisturi. Possiamo entrare dentro le arterie visionando il nostro percorso attraverso i raggi x, arrivando là dove la malattia si è sviluppata e quindi curarla meglio. Molti conoscono bene queste procedure applicate a livello coronarico per dilatare una stenosi, oppure per le valvole cardiache, dove invece di aprire il cuore, come era necessario in passato, si impiantano segmenti valvolari attraverso un percorso endovascolare. Allo stesso modo si possono curare gli aneurismi dell’aorta, dove si sostituisce tutto l’albero arterioso attraverso una procedura interamente condotta all’interno del corpo, vista solo attraverso l’apparecchio radiologico. Queste tecnologie hanno naturalmente cambiato il destino di molti pazienti, ma hanno cambiato anche la nostra professione, perché si sono trasformati gli strumenti diagnostici e terapeutici che impieghiamo. Oggi a livello del cuore le valvole vengono inserite nell’ottanta per cento dei casi attraverso procedure endovascolari, e lo stesso avviene per le malattie coronariche, mentre per gli aneurismi le percentuali sono anche superiori: 95 per cento. Quanto alle arteriopatie, il dramma di un diabetico, in più del 60 – 70 per cento dei pazienti si interviene per via endovascolare.”